Si è spento a 92 anni una delle figure più significative della Chiesa torinese di matrice pellegriniana. Per dieci anni cappellano in fabbrica, poi operaio alla Lamet. “Ho speso bene la mia vita”.
Per un decennio cappellano del lavoro in alcune grandi fabbriche della Torino degli anni Cinquanta e Sessanta (Fiat Grandi Motori, Lancia e Michelin); poi, in posizione critica verso quell’esperienza, che gli costò il licenziamento nel 1962 dalla Fiat, divenne prete operaio – uno dei primi in Italia, promossa a Torino in profondo accordo con l’arcivescovo Michele Pellegrino – per 18 anni, dal 1968 al 1986, alla Lamet. Militante sindacale nella Cisl, voce critica e spesso corrosiva della Chiesa torinese, don Carlo, come ricorda Federico Peyretti, “è stato questo e molto altro animato sempre dalla preoccupazione per gli ultimi, i poveri, le persone ai margini: testimoniando loro il vangelo, condividendone fatiche e sofferenze e cercando di migliorarne le condizioni di vita. Basti pensare, ad esempio, al suo impegno sindacale in anni segnati da tensioni e conflitti altissimi, anche tra gli stessi operai; o ancora al suo diretto coinvolgimento in progetti di sviluppo in alcuni paesi dell’Africa e in Brasile”. Don Carlevaris fu autore dello scritto da cui è partita l’elaborazione della Lettera pastorale “Camminare insieme”, pubblicata nel 1971, che invitava credenti e non credenti a “camminare insieme”, appunto, per la promozione umana e sociale nella città.
Durante le celebrazioni per il cinquantennale della sua ordinazione sacerdotale don Carlo ricordò l’espressione che l’ha accompagnato in tutti quegli anni: “Tu sei un bravo delegato, peccato che sei un prete”, dicevano i compagni che lo votavano nel Consiglio di fabbrica. Tra il clero e i benpensanti invece si mormorava: “Carlo è un bravo prete, peccato che sia comunista”. Una volta Carlo Carlevaris disse che, da giovane prete, il “depositum” della fede gli riempiva uno zaino, mentre ora stava tutto, essenziale e vivo, in un taschino della tuta.